C’è chi in questi anni, ben prima che pullulassero presunti ribelli e nuovi eroi dell’antisavianismo militante, ha criticato con durezza il culto del Saviano-simbolo e la facile voglia di icone, senza però trascinare in una demolizione da (finti) bastiancontrari la persona e, soprattutto, il libro e il lavoro compiuto. La “critica”, come vuole anche l’etimo, deve sempre “tagliare”, separare, discernere, distinguere.
In rete e dalle pagine de “L’Unità”, noi abbiamo analizzato un dispositivo mediale/autoriale che “blocca” Saviano, lo feticizza e ne riproduce serialmente l’immagine, banalizzandola e inflazionandola. Esito per molti versi inevitabile: Saviano deve apparire di continuo per tutelarsi, l’ombra e l’oblio sono per lui un pericolo. Tuttavia, l’inevitabilità non deve impedire di cogliere limiti, aporie, contraddizioni.
Nel fare questo, non ci siamo mai sognati di attaccare Saviano come persona chiamandolo “burattino”, “eroe di carta”, “narcisista”, “manovrato”, “furbetto”; non abbiamo mai detto che Gomorra (libro importantissimo) è una truffa, una merda, un diversivo o una favoletta; non abbiamo sollevato questioni di lana caprina su grammatica e sintassi; non abbiamo mai scherzato sulla pelle degli altri, lanciando frecciatine sulla scorta di Saviano o sull’effettivo pericolo che corre; non abbiamo mai fatto illazioni odiose su Saviano che “fa il gioco” di questo e di quello, è “funzionale” a questo o quel potere, è “manovrato” da questo o quel padrone etc.
Tutte cose che, con diverse gradazioni, troviamo invece nelle sparate “accademiche” e musicali degli ultimi giorni.
Purtroppo in Italia una medaglietta da “intellettuale controcorrente” non si nega a nessuno. E’ facilissimo e costa davvero poco mostrare un “conformismo dell’anticonformismo”. A sinistra, è una recita replicata fino al vomito e si svolge in quattro atti, senza finale:
Atto I, buttarla in vacca con prese di posizione presuntamente “shock”, fintamente anticonformiste e in realtà subalterne alla banalità imperante (“Questo Saviano ha rotto il cazzo”).
Atto II, seguono prese di posizione giustamente dure.
Atto III, il vittimismo eroico: “vogliono tapparmi la bocca”, “non c’è vero diritto di critica”, “bisogna avere il coraggio di prese di posizione scomode” etc.
Atto IV, giunge il plauso della destra e dei suoi giornali, che lodano chi si mostra “anticonformista” nel campo avverso.
Passa un po’ di tempo, e si ricomincia dall’Atto I.
Va aggiunto che oggi, in Italia, il discorso rozzo passa per discorso verace, la reazione “de panza” per chiarezza mentale, il vaffanculo per rivoluzione.
Qualche tempo fa, a un appuntamento letterar-mondano della capitale, un piccolo editore de super-sinistra è stato visto sfregarsi le mani soddisfatto e, con grande allegria, dire in giro: “Vedrete, vedrete cosa abbiamo pronto… Adesso gliela facciamo vedere noi, a Saviano!”
In Emilia diciamo: “Piò che cumpagn, ien cumpagn a ch’ietar” [Più che compagni, sono uguali agli altri].
(Articolo apparso su “L’Unità” del 6/06/2010, purtroppo con la prima frase deturpata da un errore di impaginazione. Questa è la versione corretta.)
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