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13 giugno 2010

Medio Oriente: Erdogan sfida il duo Hezbollah-Iran - rivista italiana di geopolitica - Limes

Medio Oriente: Erdogan sfida il duo Hezbollah-Iran - rivista italiana di geopolitica - Limes

Medio Oriente: Erdogan sfida il duo Hezbollah-Iran

di Lorenzo Trombetta
RUBRICA DAMASCO-BEIRUT. In palio c'è la supremazia futura per il Medio Oriente musulmano. L'assalto israeliano alla flottiglia umanitaria serve a Erdogan l'assist per il vantaggio. Provvisorio, in attesa di vedere come il fronte della "resistenza islamica" risponderà. Cercando magari di rilanciare sul terreno?
Dalle immagini tv e dalle foto sui giornali sembra di essere a un funerale di qualche martire palestinese in qualche città araba, e invece si è nel centro di Istanbul, nel piazzale tra la Moschea Blu e Santa Sofia. Tra le bandiere palestinesi e i panni verdi della shahada, la professione di fede islamica, che avvolgono le bare degli attivisti uccisi spicca il rosso e il bianco della bandiera nazionale turca.

Stasera (4 giugno 2010) il leader degli Hezbollah libanesi, il sayyid Hasan Nasrallah parlerà ai libanesi, agli arabi, agli sciiti, ai musulmani tutti e chissà se i suoi strali troveranno eco fino al Bosforo. Ma la voce della "resistenza islamica", guidata dal movimento sciita e dal suo alleato iraniano, in questi giorni sembra soffocata dal protagonismo del governo musulmano del premier Tayyip Erdogan.

Sul principale e più autorevole quotidiano arabo, il libano-saudita al-Hayat, Ghassan Sharbil, tra i più lucidi commentatori dell'intero mondo arabo, prova a spiegare ai lettori, e forse anche ai leader della regione, in cosa consiste l'abilità di Erdogan.

"Erdogan ha colto subito l'occasione offertagli dal crimine israeliano", è l'attacco di Sharbil. "Erdogan ha capito l'importanza di quest'occasione: rafforzare la sua posizione all'interno della Turchia e giustificare il consolidamento del suo ruolo, sempre più popolare, nella regione".

"In Medio Oriente - prosegue il direttore di al-Hayat - se si vuole prenotare un posto al sole non si può non farlo senza schierarsi contro l'ingiustizia di cui sono vittima i palestinesi". Prima di Erdogan, afferma Sharbil, già Nasser, (il defunto presidente siriano) Hafiz al-Asad, Khomeini, Saddam Hussein e Ahmadinejad seguirono questa dottrina.

"La rabbia di Erdogan (espressa soprattutto nel discorso al parlamento trasmesso in diretta martedì da tutte le tv panarabe) ha registrato un successo notevole presso l'opinione pubblica araba, tanto che le sue foto appaiono ora in più di una capitale e la sua popolarità ha superato quella di molti".

Fin qui, le parole di Sharbil sintetizzano di fatto quel che è già emerso nei giorni scorsi sulla stampa araba e su qualche giornale europeo. La parte più interessante della sua analisi inizia a metà colonna: "Erdogan ha colto l'attimo e il crimine (israeliano) è stata l'occasione per lanciare la campagna di ridimensionamento di Israele".

Rare volte mi sono imbattuto, da osservatore e lettore di stampa araba, nell'accostamento di questi due termini: "ridimensionamento" (tahjim) e "Israele" (Isra'il). Solitamente, riferendosi allo Stato ebraico si leggono parole più gonfie di retorica: "annientamento", "sradicamento", "estirpazione", "sconfitta", "cancellazione". E non è un caso che il direttore di al-Hayat lo usi in riferimento alla politica di Erdogan, un primo ministro mediorentale, musulmano ma non arabo.

Erdogan è però anche leader di un Paese saldamente membro della Nato, la caserma dell'Occidente. Dal 1996 alleato di Israele, il "nemico" per eccellenza nella tradizionale percezione araba. Ma è anche premier di un Paese che nel 2008 ha svolto il ruolo di mediatore tra la Siria e lo Stato ebraico. Ed è a capo di un governo che di recente, assieme al Brasile, si è impegnato nel tentativo di risolvere la questione nucleare iraniana in un modo diverso da quello di Washington e Tel Aviv.

Proprio in virtù di tutto questo - che Sharbil sintetizza con la parola "esperienze" (tajarub) - Erdogan può oggi permettersi di voler "ridimensionare" Israele. La sua Turchia, afferma l'editorialista arabo, crede che soltanto in un Medio Oriente stabile e sviluppato si possano isolare quegli estremismi che nuocciono di più alla causa palestinese.

Estremismi che trovano legna da ardere nella disperante povertà e arretratezza causata dalla politica israeliana. L'esempio dell'assedio imposto alla Striscia di Gaza è per Sharbil la prova più evidente del legame causa-effetto tra ostinazione israeliana e crescita dei fondamentalismi islamici, "come Hamas e gli Hezbollah".

"L'obiettivo di questo ridimensionamento - riprende il direttore di al-Hayat - non è dunque 'estirpare il morbo canceroso' che Ahmadinejad sogna di sradicare, né tantomeno è 'gettare Israele a mare' come invece sognano coloro che oggi applaudono la rabbia di Erdogan".

"L'obiettivo è quello di istigare l'opinione pubblica israeliana contro il suo governo estremista e cieco. E' incoraggiare l'amministrazione di Barack Obama a esercitare pressioni reali su Israele, perché ridimensioni le politiche imprudenti ed estremiste, perché sia spinta a negoziare, ad accettare la pace e il suo prezzo".

"L'Iran ha tentato in questi anni di ridimensionare Israele cingendole attorno una catena di missili. Ha voluto scuotere la forza israeliana, dissuadendo l'israeliano della strada facendogli credere di esser caduto nella rete dei razzi di Hezbollah e di Hamas".

"Le armi di Erdogan sono invece diverse: non ha lanciato missili, ma ha invece attaccato Israele con la lingua della legalità internazionale, chiedendo presupposti per la stabilità e la giustizia nella regione".

"E nell'analizzare l'attuale attacco turco - conclude Sharbil - va ricordato che la Turchia non ha certo detto che romperà i rapporti con Israele. Non ha detto che lascerà la Nato, non ha detto che ritirerà le sue unità dalle missioni internazionali in Afghanistan, nei Balcani o nel sud del Libano".

In attesa di ascoltare stasera come Nasrallah cercherà di metter il suo cappello/turbante nero sull'iniziativa turca, Erdogan si gode l'1-0 inflitto al fronte Hezbollah-Iran nella più lunga partita per la leadership del Medio Oriente musulmano.
(7/06/2010)

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