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28 febbraio 2011

Afghanistan : quello che non si legge sui giornali

IL NUOVO CAPITALISMO AFGANO
L’industria del rapimento
DI SHANE SMITH, FOTO DI THORNE ANDERSON
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(...)In questo momento quasi tutti i soldi che fluttuano intorno a Kabul provengono dalle compagnie per cui questi uomini lavorano. Ci sono progetti che godono del supporto governativo—solitamente subappaltati a svariate compagnie di servizi multinazionali—poi ci sono le ONG internazionali e i relativi progetti di sviluppo, e infine un numero imprecisato di organizzazioni umanitarie—e tutta questa gente si sta organizzando per fare shopping in Afghanistan, attingendo da quelli che sembrano forzieri senza fondo. Per mandare avanti i loro progetti benintenzionati, ognuna di queste organizzazioni ha bisogno di factotum incazzati che non tremino al suono delle “chitarre afgane” (note anche come AK-7). Ed è così che questi tizi arrivano a Kabul, accompagnati dai loro Jack Daniel’s del duty free, l’attitudine da cowboy e i bonus per le condizioni di lavoro pericolose.
Il problema è che gli imprenditori afgani hanno capito l’antifona e stanno sfruttando al massimo la situazione. Ai tempi della prima invasione americana, i rapimenti erano rari e principalmente motivati da ragioni politiche. Il riscatto medio era una cifra consistente per molti afgani, 10.000 dollari, niente che le compagnie assicurative non potessero pagare per conto delle ONG e delle agenzie umanitarie. Gli afgani si sono velocemente aggiornati e i rapimenti sono aumentati, così come l’ammontare del riscatto medio—intorno ai 100.000 dollari. Oggi i rapimenti sono all’ordine del giorno—e il riscatto? Un milione e mezzo di dollari, ovvero la cifra massima che una compagnia assicurativa standard può permettersi di pagare. Molti degli uomini che stavano sull’aereo con me erano già stati sequestrati—un ex-marine che era stato preso tre volte raccontava in modo caloroso dell’ospitalità dei carcerieri musulmani. “Non ho mai mangiato del riso pilaf così buono! Ho preso cinque chili!”

Una volta arrivati a Kabul, questi uomini vengono raggiunti dalle loro scorte di sicurezza e dai rispettivi convogli di veicoli armati. Ogni cosa viene gestita come una specie di operazione militare, tutto viene pianificato nel dettaglio. Poi vengono portati alla base, che generalmente è situata in una delle poche case abitabili (e difendibili) in città, e che i locali chiamano “torte” perché a) sembrano delle torte e b) sono state costruite grazie al “brown sugar”, cioè all’eroina—l’unica vera risorsa economica del Paese.
(...)Oggi l’Afghanistan produce la maggior parte degli oppiacei del mondo. È stimato che più del 90 percento dell’oppio mondiale, o dell’eroina grezza, venga prodotto laggiù. Ma vengono prodotti anche un sacco di hashish e marijuana, specialmente nelle province meridionali e orientali che confinano con Pakistan e Iran. Le droghe, in un modo o nell’altro, rappresentano la maggior parte del prodotto interno lordo del Paese. E mentre gli Stati Uniti cercano di ricostruire una nazione in Afghanistan, questa cultura oppiacea è permessa, se non pubblicamente accettata—il che significa, secondo la logica, che se l’America controlla l’Afghanistan (sì, lo controlla), allora l’America non è solamente il più vasto mercato mondiale della droga, ma è anche, e ufficialmente, il più grande spacciatore del pianeta.
A dicembre ho visitato l’abitazione di un famoso signore della guerra, contro il quale il governo americano ha emesso un mandato d’arresto internazionale per la produzione di massicce quantità d’oppio. In questo momento è probabilmente in fuga, ma stranamente due dei suoi vicini di casa sono il Ministro del Tesoro afgano e quello della Sicurezza Interna, quindi teoricamente sotto il controllo diretto degli Stati Uniti. Il quadretto si compone quindi con un signore della guerra che vive accanto alla gente che lo dovrebbe arrestare. Roba che fa riflettere sul livello di ipocrisia della “guerra alla droga” americana.
(...)Quando gli viene chiesto, la maggior parte degli afgani concorda su una sintesi molto popolare: “Quando l’America è venuta per la prima volta in Afghanistan, negli anni Settanta, c’era un solo talebano in tutto il Paese; adesso ce ne sono 50.000 e nel momento in cui se ne andrà ce ne saranno 500.000.” A causa della pessima amministrazione, delle strategie politiche confuse e del continuo supporto al corrotto e odiato governo-fantoccio del Presidente Hamid Karzai, l’America è effettivamente riuscita a creare i talebani dell’Afghanistan. Gli Stati Uniti non hanno fatto altro che garantire che il prossimo regime al governo in Afghanistan sarà proprio quello talebano.
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